Catastrofi di superficie
Una pubblicità che mi è sempre sembrata una metafora perfetta è quella dell’uomo che cerca di convincere la massaia sulla pulizia del suo lenzuolo appena lavato. La cosa straordinaria è che l’uomo prende per mano la signora e la conduce dentro la biancheria, con un salto spaziotemporale veramente fantascientifico. L’aspetto bidimensionale del lenzuolo non esiste più, i due si trovano come d’incanto all’interno del reticolo di fibre, letteralmente in un mondo parallelo eppure del tutto plausibile – il mondo profondo che accompagna la nostra quotidianità superficiale.
Mi pare che questa pubblicità sia anche una metafora dei destini e delle funzioni della pittura contemporanea – nel senso che anche la pittura, per quanto continui ad insistere sul proprio luogo deputato, cioè la superficie della tela, abbia dovuto, nella contemporaneità, operare una specie di scarto spazio - temporale e sia stata costretta a confrontarsi con profondità, mentali e reali, che prima aveva ignorato.
Anche la pittura deve precipitare nel fondo della tela e della rappresentazione per rintracciare quel minimo residuo di sporco che mette in crisi tutta l’impalcatura del bello su cui quest’arte si era edificata con tanti sforzi.
Non è secondario il fatto che in tutto il suo lavoro Antonio De Pascale impieghi il linguaggio squisitamente artigianale e convenzionale della rappresentazione pittorica. Il legame con i temi che affronta non può prescindere da questa scelta di partenza, che condiziona tutto l’universo di senso messo in discussione.
Proviamo a sfogliarlo secondo i punti di un’ipotetica agenda: il primo è quello delle merci e della loro metamorfosi. Più i beni di consumo sono luccicanti nella loro perfezione artificiale assoluta, più si mostrano nell’inviolabilità del loro assetto semantico – e più occorre inseguirne le contraddizioni anche a costo di ripeterne maniacalmente le forme, i loghi, le figure. Per questo la strategia messa in atto da De Pascale è insieme quella di un avvicinamento e di una distanza: per Andata e ritorno (95/98) si dedicava a scrupolosi trompe-l’oeil della confezione, ricopiandone i motivi, la grafica, i logo, persino le scritte con gli ingredienti del prodotto con la classica tecnica dell’acrilico su tela. D’altra parte, egli fustellava il “quadro” così ottenuto esattamente nelle forme della confezione di un altro prodotto, diverso da quello precedentemente copiato – producendo così degli ibridi anomali, dei packaging transgenici: yogurt con la “pelle” di lamette da barba, confezioni di birra travestite da pomodori in scatola, biscotti col look di assorbenti igienici. Vicinanza sospetta e straniamento ironico si erano poi sovrapposte intrecciandosi l’un l’altro, nelle serie Zoom (1988/1999) e May-be (1999/2000) facendo nascere strane storie di confezioni contraddittorie : la piacevole signora dei dadi da brodo strangolata da un essere alieno, la delicata mano inguainata dai guanti di gomma frantumare il bicchiere di cristallo da accarezzare.
Il secondo punto riguarda il panorama mediale, quello che un sociologo come Arjun Appadurai ha definito il nostro “mediascape” – lo spazio affollato dove le immagini si sovrappongo le une alle altre, e creano una sorta di effetto serra iconologico che ormai si potenzia da solo, genera turbolenze incontrollabili in un ambiente irreversibilmete inquinato. In questo panorama De Pascale si concentra sui picchi, sui burroni, sulle falle del sistema: catastrofi, attacchi terroristici, esplosioni, elementi naturali che si ribellano sono un repertorio ormai così consueto che sembra essere divenuto la “seconda natura” in cui dobbiamo deciderci a vivere – e che per questo dobbiamo abituarci a vedere, descrivere, dipingere.
Ma la cosa davvero interessante che ha luogo in questa mostra Real Time – e continua ad accadere sotto i vostri occhi anche nel momento in cui sarete chini su questo foglio, a decifrarne le righe, le parole, le lettere – è certamente la catastrofe più grande di tutte, la più totale anche se di gran lunga la meno avvertibile. Se è vero infatti quanto sosteneva profeticamente tanti anni fa Susan Sontag quando diceva che “viviamo sotto la minaccia continua di due prospettive egualmente spaventose, anche se apparentemente opposte: la banalità ininterrotta e un terrore inconcepibile” – allora la cosa davvero spaventosa è che tutti questi disastri ecologici, tutti questi tsunami, tutti questi attentati, e tutte queste azioni di guerra che dovrebbero servire a liberarcene – hanno luogo in un certo senso sopra, intorno e dentro la nostra quotidianità, sopra il divano che sta davanti alla tv, intorno alle merci che scartiamo e che mangiamo, tra il cioccolato e il detersivo, tra i biscotti e il tubo catodico.
E’ questo il “terzo punto” e insieme il “punto debole” dove la comunicazione mediale contraddice e insieme svela se stessa – la grande, vera catastrofe a cui la pittura di De Pascale si sforza di dare una risposta, e di cui svela insieme il carattere inevitabilmente enigmatico.
Alla caccia di quel residuo di sporco rintanato là in fondo, nelle fibre di una tela che la pittura, finora, si era limitata a dipingere in superficie.
Marco Senaldi maggio 2006
Surface Catastrophes
An advertisement which has always seemed to me a perfect metaphor is that of the man who tries to convince a housewife of the cleanliness of the sheet she has just washed. What is extraordinary about it is the man and the lady’s science fictional space-time jump inside the linen. The two-dimensional sheet disappears and the two persons find themselves inside a network of fibres as if by magic. They are literally in a parallel, though perfectly credible, world – the deep world which accompanies our daily superficial humdrum.
I think this commercial is also a metaphor for the destiny and function of contemporary art in the form of painting. As a matter of fact, although painting still holds fast to the traditional canvas surface, nowadays it has to operate a sort of space-time shift in order to deal with depths of the mind and of reality which have been ignored so far
Painting, too, must plunge into the bottom of the canvas and its representation to find that tiny residue of dirt which undermines the whole framework of beauty on which this art had been built with so much effort.
It is highly significant that in all his work Antonio De Pascale ’s means of expression are based on authentic handicraft and the conventions of painting.The link with the themes he tackles cannot disregard this choice as a starting point, which conditions the whole universe of meaning which is being challenged.
us try to go through it following an imaginary agenda.
The first point concerns goods and their metamorphosis. The more sparkling consumers goods appear in their utterly artificial perfection, the more inviolable their semantic strutcure seems to be – and the more one needs to trace their contraddictions even if one has to repeat their forms, logos and images in a manic way. The strategy employed by De Pascale for this purpose is at the same time one of approaching and distancing: in Andata e ritorno (95/98) he created meticulous trompe l’oeil of the packagings, copying their motifs, designs, logos with the classic technique of acrylic on canvas. At the same time he frames the “picture” thus obtained exactly in the shape of the packaging of another product, different from the one previously copied – thus producing anomalous hybrids, transgenic packagings: yogurts with the “skin” made of razor blades, beer cans disguised as tinned tomatoes, biscuits with the look of sanitary towels.
In the series Zoom (1998/1999) and May-be (1999/2000) a dubious approach and ironic estrangement are intertwined giving life to strange stories of contraddictory packagings: an alien creature strangles the amiable lady of the stock cube advert; a delicate gloved hand shatters the crystal glass it is caressing.
The second point concerns the media world, which the sociologist Arjin Appadurai has described as our “mediascape” –a space crowded with overlapping images that create a sort of iconological greenhouse effect, self-feeding and generating incontrollable turbulence in an irreversibly polluted environment. In this landscape De Pascale focuses on peaks, ravines, leaks of the system: catastrophes, terrorist attacks, explosions, mutinous natural elements are such a familiar repertoire that it seems to have become a “second nature” which we have to accept to live in and therefore we must get used to seeing, describing and painting.
But the really interesting thing that takes place in this exhibition Real Time – and it goes on happening under your gaze even when you are looking at this page, and reading its lines, words and letters - is no doubt the greatest catastrophe of all, the most total even if the least perceivable. If it is true, in fact, what Susan Sontag profetically foresaw many years ago, when she maintained that “We live under continual threat of two equally fearful, but seemingly opposed, destinies: unremitting banality and inconceivable terror” then the truly awful thing is that all these ecological disasters, all these tsunamis, all these attacks and all these war actions which should serve the purpose of freeing us from them – take place so to say above, around and within our routine, on the settee in front of the telly, around the goods which we unwrap and eat, between chocolates and washing powder, between biscuits and the tv set.
This is the “third point” as well as the “weak point” where media communication contraddicts but also reveals itself – the huge, real catastrophe which De Pascale’s artistic work tries to tackle, uncovering at the same time its inevitably enigmatic nature.
He is chasing that residue of dirt hidden at the bottom, within the fibres of a canvas that painters have so far painted only on the surface.
Marco Senaldi May 2006