Quo Vadis?
Il diario è una forma narrativa in cui il racconto è sviluppato cronologicamente: può essere la cronaca di un periodo della vita di una persona, ma anche la raccolta di annotazioni giornaliere in cui vengono descritti fatti di rilievo, avvenimenti politici, sociali, economici. (Wikipedia)
Chi scrive lo fa per puntualizzare a se stesso ciò che (gli) sta accadendo in quel periodo, ponendo l’attenzione sul presente: le date sono il segno di un rapporto costantemente ribadito del soggetto con l’esterno.
Quo vadis? È un work in progress, nasce e si svilupperà come una sorta di diario visivo, in cui anche la tela è costretta ad una metamorfosi, a trasformarsi per meglio aderire alla costruzione di una forma allegorica che interroghi il presente per sottrarlo alla sua costante evaporazione.
Il presente di un paese, il nostro, che vive uno scenario di costante emergenza in cui sembriamo costretti alla sola condizione di testimoni, ad una relazione non diretta con la realtà e con le sue possibilità di trasformazione.
Come in un unico piano sequenza (in soggettiva) nuovi e differenti frammenti si aggiungeranno allo scenario che lo spettatore sarà chiamato a mano a mano a ricomporre, a unificare scavando fra cronaca e memoria – personale e collettiva - alla ricerca di un filo conduttore che possa tenere insieme la nostra storia recente al di fuori dello storytelling mediatico.
Se la pittura ha una forza originaria, primitiva, penso vada cercata nella pulsione all’imitazione, alla riproduzione del reale, quella spinta infantile e archetipa (prelinguistica) ad impossessarsi delle cose rappresentandole, a carpirne le sembianze per afferrarne il senso, quella spinta che ci accompagna dalle grotte di Lascaux al digitale 3D, passando per fotografia e cinema.
Viviamo il paradosso di una continua connessione informativa che sembra disancorarci dalla realtà piuttosto che migliorarne la comprensione; drammi e notizie si consumano nell’eterno presente di un’attualità senza storia, senza effettualità. Dislocandole, mi sembra possano meglio perpetuare la forza silenziosa dell’evidenza: immagini e vicende nella “nuova cornice” – fuori dal flusso indifferenziato di media – continuano a riproporre la loro urgenza.
La scelta del realismo pittorico come dispositivo, spinto nella fattispecie al limite del trompe l’oeil, non è un ingenuo o nostalgico refluo antimodernista, ma la possibilità di verificare le istanze critico/analitiche (e poetiche) di un dispositivo desueto, minore e spiazzato nel mare dei nuovi media.
Proprio perché fuori gioco, la pittura, la “peggiore” in questo caso - quella figurativa/illusionistica - mi sembra possa schiudersi allo sguardo, dissimularsi in quanto immagine e incorporarsi nello spazio reale (i quadri appaiono come zainetti appesi ) per attivare un pensamento, un’esperienza al di là della contemplazione e per porre la propria ragione nella capacità di mettersi in relazione con il fuori da sé.
Mantenere ancora visibile il confine fra la realtà e la sua messa in scena, mi pare possa lasciare affiorare l’essenza di quella stessa realtà proprio fra le pieghe delle apparenze (tromper l’esprit).
Antonio De Pascale Giugno 2012
Quo Vadis?
The diary is a narrative form in which the story develops chronologically: it can be the chronicle of a period of a person's life, but also the collection of daily notes in which important facts and political, social, economic events are described. (Wikipedia)
The diarist writes to clarify to himself what is happening (to him) in that period, focusing on the present: the dates are the marks of a constantly reiterated relationship of the diarist with the outside world.
Quo vadis? is work in progress, born and developed as a sort of visual diary, in which even the canvas is forced to a metamorphosis, to change in order to better adhere to the construction of an allegorical form that questions the present to escape its constant evaporation.
The present in a country like ours which is experiencing a scenario of constant emergency in which we seem forced to the sole role of witnesses, to a mediated relationship with reality and with its possibilities of transformation.
Like in a single subjective sequence shot new and different fragments will be added to the scenario that the viewer will be called upon to gradually recompose, to unify by digging between personal and collective news and memory in search of a common thread that can hold together our recent history outside media storytelling.
If painting has an original, primitive force, I think it should be sought in the drive to imitate, to reproduce reality, that childish and archetypal prelinguistic drive to take hold of things by representing them, capturing their appearance to grasp their meaning, that drive that accompanies us from Lascaux caves to digital 3D, through photography and cinema.
We live the paradox of a continuous informative connection that seems to detach us from reality rather than improve our understanding; dramatic events and news are consumed in the eternal present of a present without history, without efficacy. By displacing them, I feel that they can better perpetuate the silent force of evidence: images and events in the "new framework" - outside the undifferentiated flow of media - continue to re-propose their urgency.
The choice of pictorial realism, in this case pushed to the limit of trompe l'oeil, is not a naive or nostalgic anti-modernist backwash, but the possibility of verifying the critical / analytical and poetic instances of an obsolete, minor and displaced device in the sea of the new media.
Precisely because offside, figurative / illusionistic painting, the "worst" in this case, in my opinion seems to reveal itself to the eye, disguise itself as an image and incorporate itself into the real space (the paintings are shown as hanging backpacks) to activate thought, an experience beyond contemplation to stimulate one’s reason to relate to the outside beyond oneself.
I think that keeping the boundary between reality and its staging still visible can let the essence of that same reality emerge right between the folds of appearances (tromper l’esprit).
Antonio De Pascale june 2012