(Tema Celeste contemporaryart n°107 gennaio/febbraio 2005)
Con la coda dell’occhio ho incrociato una strana pubblicità di qualche tipico servizio immateriale (assicurazioni?) in cui si vedeva un tale, in un panorama turistico, sdraiato su un’amaca e accompagnato da una ragazza in bikini con tanto di drink. A un certo punto però le cose cominciano a sparire: prima via i drink, poi la ragazza, poi l’amaca... fino a quando non compare la headline che sussurra: “Paura di perdere il tuo tenore di vita?”. Il pubblicitario ci ha preso. Indipendentemente dal fatto che noi si abbia davvero avuto tutto ciò (una vacanza da sogno, avventure erotiche, ecc.) ciò che conta è che, prima, potevamo almeno sognarlo, ora abbiamo paura di perderlo. Ciò che implicitamente ci viene detto è che, se abbiamo desiderato tutto questo, allora siamo parte del “sistema” – ma chi non ha mai avuto un desiderio simile? Pubblicità come questa ci fanno riflettere sulla strana situazione ipermercantile che stiamo vivendo – e in definitiva sugli orizzonti esistenziali dei nostri stessi desideri. Il contesto è tale per cui “nessuno è innocente”, nessuno può presuntuosamente “chiamarsi fuori” e coprire una posizione da cui esprimere un giudizio spassionato – e la cosa vale anche per gli artisti, la cui opera, se si limitasse a opporre resistenza e a costruire una “riflessione critica” rischierebbe non solo di non scalfire l’esistente, ma di renderne il meccanismo più fluido, costituendone per così dire, la “trasgressione prevista”. Ma certi artisti – alcuni dei quali per fortuna non sono meno scaltri dei più scaltri pubblicitari – si sono resi conto per tempo di tutto ciò e, nella consapevolezza di disporre solo di strategie interne al campo comunicativo che ci circonda, creano dei “bricolage” che usano proprio gli elementi disfunzionali e dis-comunicativi che lo caratterizzano.
Credo che il lavoro di Antonio De Pascale vada collocato esattamente in questo tipo di pratiche, volte a rimaneggiare costantemente gli scarti, gli eccessi, le protuberanze e i buchi seminascosti in quello che un sociologo come Arjun Appadurai ha definito il nostro “mediascape” o panorama mediale. Ciò che non cessa di colpire nel suo lavoro è proprio li fatto che più che di “opere”, si tratta di “pratiche”, cioè di sessioni di lavoro le quali naturalmente sono in perpetua mutazione, alla ricerca costante del “punto debole” dove la comunicazione mediale contraddice e insieme svela se stessa. In una serie inedita di qualche tempo fa Rilievi (1993/94), Antonio De Pascale aveva per esempio ingrandito a dismisura i foglietti di istruzioni per l’uso di una dozzina di artefatti meccanici, palesando l’enigma della loro bellezza pop, e al tempo stesso il fatto che, pur trattandosi di istruzioni di cui ci si dovrebbe sbarazzare una volta montato o utilizzato l’oggetto a cui si riferiscono, di fatto continuano a circolare per casa come un supplemento di qualcosa (il prodotto) di cui rivelano la mancanza intrinseca. Non è secondario il fatto che in quest’opera, come in tutto il suo lavoro, per parlare di cose totalmente artificiali Antonio De Pascale impieghi il linguaggio squisitamente artigianale e convenzionale della rappresentazione pittorica. La strategia messa in atto è infatti insieme quella di un avvicinamento e di una distanza: nelle serie certamente più note, che si focalizzano sull’imballaggio delle merci contemporanee, egli infatti ne indaga la simulazione con la pazienza di un monaco amanuense, e, come un copista, per Andata e ritorno (95/98) si dedica a scrupolosi trompe l’oeil della confezione, ricopiandone i motivi, la grafica, i logo, persino le scritte con gli ingredienti del prodotto con la classica tecnica dell’acrilico su tela. D’altra parte, egli fustella il “quadro” così ottenuto esattamente nelle forme della confezione di un altro prodotto, diverso da quello precedentemente copiato – producendo così degli ibridi anomali, dei packaging transgenici: yogurt con la “pelle” di lamette da barba, confezioni di birra travestite da pomodori in scatola, biscotti col look di assorbenti igienici. In un’ultima serie inedita, Antonio De Pascale assottiglia ancor di più le armi dell’analisi: qui sono le immagini televisive, le più atroci ma anche le più impermanenti e vacue, a divenire acquerelli, quasi rapidi schizzi dal diario di viaggio di un pittore turista del secolo scorso... Ma catturata, l’immagine ridiventerebbe feticcio, se non fosse di nuovo negata dalla sua confezione: ed è così che i lievi guaches di apocalissi da dopocena diventano a loro volta “contenitori”, scatole, involucri vuoti in attesa, forse, di essere riempiti di quel significato che per ora si ostina a rimanere latente.
(Tema Celeste contemporaryart n°107 january/february 2005)
Out of the corner of my eyes I saw a strange advertisment of some typical intangible service (insurance?) which showed a bloke in a tourist landscape, lying on a hammock in the company of a girl wearing a bikini and holding a drink. At a certain point, however, things start to disappear: first the drinks, then the girl, then the hammock….till a headline appears murmuring: “Afraid of losing your standard of living?” The advertiser got it right. Whether we have or not experienced all that (a dreamlike holiday, erotic affairs, etc) the point is that before we could at least dream of it, now we are afraid of losing it. What we are implicitly told is that, if we have desired all this, then we belong to the “system” – but who has never had such desires? Advertisements like these make us reflect on the strange hyper-marketing dimension we are now living in - and in the end on the existential horizons of our very desires. The context allows “nobody to be innocent”, nobody can conceitedly “call themselves out” and hold a position from which to express an objective judgement – and this also applies to artists whose work, if it were limited to resist and provide a “critical reflection” would risk not only being unable to affect the present condition but making its mechanism more fluid becoming as it were way the “expected transgression”.
Some artists, however, - a number of whom are fortunately more cunning than the most cunning advertisers – have become aware of that mechanism in time. They are conscious of having at their disposal only internal strategies of the communicative field which surrounds us and create some “bricolages” which employ the very dys-functional and dys-communicative elements which characterize it.
I think that Antonio De Pascale’s work belongs exactly to this type of practice, which aims at constantly manipulating the gaps, the excesses, the protuberances and the half-hidden holes in what a sociologist like Arjun Appadurai has described as our “mediascape”. The most striking aspect of his work is the fact that his art is based more on practices than works, that is sessions of work in never-ending mutation constantly searching for the “weak spot” where media communication contradicts and reveals itself at the same time. In an unpublished series of some time ago Rilievi (1993/94), Antonio De Pascale, for example, enlarged the instructions leaflets for a dozen mechanical artifacts, showing at the same time the mystery of their pop beauty and the fact that, in spite of the fact that they are instructions to be thrown away after the object has been assembled or used, they still lie about in the house as a supplement of something (the product) of which they reveal the very absence. One important feature of this work, like of all his work, is the fact that in order to speak of totally artificial things Antonio De Pascale uses the handicraft language and conventions of painting.
The strategy employed is at the same time one of approaching and distancing in the most famous series which focus on the packaging of today’s goods. He investigates their simulation with the patience of a scribe monk and, like a copyist, in Andata e ritorno (95/98) he creates meticulous trompe l’oeil of the packagings, copying their motifs, design, logos and even the lists of ingredients of the products in the classic technique of acrylic on canvass. On the other hand he frames the “picture” thus obtained exactly in the shape of the packaging of another product, different from the one previously copied – thus producing anomalous hybrids, transgenic packaging, yogurt with the “skin” made of razor blades, beer cans dressed up as tinned tomatoes, biscuits with the look of sanitary towels. In another unpublished series Antonio De Pascale further sharpens his anlysis: in this case) TV pictures, the most awful ones but also the most volatile and empty, to become watercolours, almost quick sketches from the travelog of a tourist painter of the last century. Once captured the image would become a fetish if it were not once more denied by its packaging; it is thus that the light guaches of after dinner apocalypses become in turn “containers”, boxes, empty wrappings perhaps waiting to be filled with that meaning which for the time being remains obstinately hidden.