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Sonia Pedrazzini  Antonio De Pascale: take-away  pubblicato su Impackt n°2 - Milano 2002 

Un tetrabrik di latte “Feltrinelli”. Una scatola di sigarette “Dadi Knorr”. Un litro di profilattici “Hatù”. Una busta di detersivo “Creme Caramel Royal”. Un tubetto di farina tipo “00”. Non è la lista della spesa di una casalinga impazzita, ma le opere di un artista che ha fatto della merce la propria musa ispiratrice. Nella serie Andata e Ritorno , Antonio De Pascale dipinge su tela con colori acrilici i marchi e i logotipi di prodotti assai diffusi e popolari; lui è un artsta, ma non è neppure uno scultore sebbene utilizzi la tridimensionalità; le sue tele dipinte non sono quadri ma imballaggi. De Pascale è un creatore di packaging e i suoi involucri sono strani e paradossali: non contengono prodotti ma storie, quelle”narrazioni parassite che si annidano nell’impianto simbolico/persuasivo del prodotto”; non sono imballi realizzati con tecniche industriali ma artigianali (ogni immagine è dipinta a mano per opporre il tempo soggettivo alla velocità della produzione seriale); soprattutto non sono la semplice riproduzione di imballaggi esistenti.

De Pascale ha fatto la spesa…Ha comprato tre birre confezionate, una scatola di formaggini “Tigre”, un litro di succo d’arancia, uno di latte, rotoloni “Scottex Casa”, biscotti, una torta, un libro, un cd, l’insetticida”Baygon”, un pacchetto “Marlboro”, aspirine, e molto ancora. Probabilmente, come tutti noi, avrà usato la merce contenuta nei pacchetti colorati, ma senza il  minimo imbarazzo e senso di colpa, come un bravo chirurgo plastico ha cominciato ad operare sulla pelle di quelle immagini, cioè sui loro packaging: ha aperto con cura le scatole, le ha smontate ed appiattite, ne ha dissolto il volume, facendole regredire alla loro primigenia forma bidimensionale, la fustella, rappresentazione del progetto industriale che le aveva generate. Nel frattempo ha preparato le tele e ha riprodotto con sapienza, dipingendoli a mano uno per uno, marchi e logotipi. Infine, seguendo le sagome di confezioni diverse da quelle che rappresentavano la merce originaria ha riassemblato e ricostruito le scatole. Come dopo una chirurgia plastica, il vecchio corpo ha una nuova pelle, ma in questo caso si potrebbe anche dire che la vecchia pelle ha un nuovo corpo. Gli imballaggi di De Pascale sono  ambiguamente fedeli e infedeli a due a due realtà contemporaneee e i logotipi giusti sui contenitori sbagliati creano un senso di disorientamento ed estraneità con il modello originale. E’ una situazione paradossale perché le scatole di prodotti a noi noti sono allo stesso tempo riconoscibili e non-riconoscibili, quindi contengono una contraddizione rispetto a quella che esprime tradizionalmente la rassicurante funzione simbolica del packaging, cioè di rappresentare la verità univoca della merce.

De Pascale ha fatto di nuovo la spesa: spaghetti, burro,biscotti, dadi, guanti per stoviglie e un pacchetto di chewing gum. L’operazione continua. Il suo tavolo da chirurgo è troppo piccolo e deve lavorare per terra, aiutandosi con chiodi e martello. Le scatole sono diventate grandi a dismisura (o meglio “a misura d’uomo” come dice lui), e le figure dipinte non sono più amichevoli e rassicuranti. Nella serie di opere Zoom, al gigantismo fisico corrisponde una mutazione comportamentale; le merci sono diventate quasi vive, sono zombie che si ribellano ai modelli di inossidabile sicurezza venduti dalla pubblicità e che decidono di ammutinarsi aggirandosi ironici e minacciosi tra le pareti domestiche in cerca di vittime: la busta di biscotti “Mulino Bianco” è la prefigurazione di un gigantesco pacco bomba; “Marigold”, il guanto assassino, spezza la vita ad un bicchiere di cristallo; il ponte di “Brooklin”, quello della “gomma del ponte” esplode spaccandosi in due; un essere misterioso aggredisce con violenza la signora dei dadi “Star”.

L’esperimento “plastico/genetico” realizzato da De Pascale sulla merce, costringe lo sguardo a perforare la pelle delle cose e a rivelare il disagio del quotidiano mediante un effetto di sottile inquietitudine nel rapporto con i prodotti. Senza alcun intendo moralistico né denigratorio verso questo o quel marchio, l’artista cerca l’anima della merce che secondo lui risiede nella sua pelle, cioè nel suo packaging. Staccare la pelle dalle cose vuol dire possederne l’anima. Questo processo di scuoiamento, travestimento, ri-dislogamento sul corpo sbagliato è un modo per creare un luogo di trasfigurazione dell’identità. Le anime dannate vengono portate in superficie e le merci, sottratte per un momento al loro veloce destino di produzione e consumo sono così rimesse in circolo e riproposte come antidoto.  


Sonia Pedrazzini  Antonio De Pascale: take-away  published in the Impackt n° 2 Milano 2002 

A “Feltrinelli“ milk tetrabrik. A packet of  “Knorr” cube cigarettes. A litre of  “Hatù” condoms. A “Creme Caramel Royal” bag of detergent. A tube of “00” flour. No, this is not the shopping list of a housewife who has gone crazy, but works of art that have taken merchandise as their inspirational muse. In his series entitled Andata e ritorno Antonio De Pascale paints in acrylics on canvas the trademarks and logos typical of rather well-known and popular products. He is an artist, but not a painter nor a sculptor even though he works three dimensionally. His paintend canvasses are not paintings, they are packaging. De Pascale is a creator of packaging but his wrappings  are strange and paradoxical: they do not contain merchandise but rather they tell us a story , stories that he defines as “parasitical narratives that embody the symbolic/persuasive nature of the product”. They are packagings made using not industrial but handcrafted techniques (each image is hand painted as statement against the subjective speed taken in serial production) and, above all, they are not a simple reproduction of existing packaging.

De Pascale has been shopping... He bought three beers in a carton multipack, a box of “Tigre” cheese, a litre of orange juice, on of milk, Scottex paper towels, biscuits, a cake, a book, a cd, some “Baygon” insecticide, a packet of “Marlboro”, aspirins and many other things. Probably, like the rest of us, he used the products inside the packaging, but then without the least trace of embarrassment or guilt, like a good plastic surgeon, ha starded to operate on the skin of those images, that is to say, on their packaging: he carefully opened the boxes, he took them apart and flattened them, he dissolved their volume and returned them to their original two dimensional form, the die, the representation of the industrial project that generated them. In the mean time he prepared the canvasses and he knowingly reproduced them, painting them one by one, brand name and logo. In the end, following the contoursof packaging meant for merchandise of a different kind than the original containers were meant for, he reassembled and rebuilt the boxes. Then came the plastic surgery, the old body has a new skin, but in this case you could also say that the old skin has a new body. De pascale’s packaging is ambiguously faithful and unfaithful at the same time, it shares two realities, and the right brand name on the wrong container creates a sense of disorientation with the original model. It is a paradoxical situation bacause the well known boxes and products are at the same time recognisable and unrecognisable, therefore they contain a contradiction with respect to the simbolic function of the packaging, its traditionally reassuring message, that is ti say the unequivocal true representation of the merchandise.  

De Pascale has again been shopping: spaghetti, butter, biscuits, stock cubes, rubber gloves and a packet of chewing gum. The process continues. His surgeons table is too small and he has to work on the floor, aided by a hammer and nails. The boxes have become huge, out of proportion (or as he would say “human sized” ) and the painted figures are no longer friendly or reassuring. In the Zoom works serie there is a behavioural change that go whit the enormous physical size; the merchandise has become nearly alive, as if made up of Zombies that are rebelling against the models of stainless assurance which are sold to us by adversiting and that  decides to become mutinous, becoming ironic and menacing within the domestic setting looking for victims: the bag of “Mulino Bianco” biscuits looks  like a giant parcel bomb, “Marigold” the murderous glove snaps the stem of a crystal glass; the “Brooklyn” bridge, the one from the chewing gum, explodes and splits into two, a mysterious being violently attacks the lady on the “Star” stock cubes.

The “palstic-genetic” experiment carried out by De Pascale on the merchandise forcea us to look below the skin and to delve more deeply into things revealing a slight unease in our relationship with goods in general. Without any moralistic or denigratory intentions towards any particular brand names, the artist is looking for the soul of the merchandise  which according to him lives inside its skin, that is to say its packaging. Stripping away the skin from artifacts means possessing their soul. This process of flaying, disguising, reallocating onto the wrong body is a way of creating a means for identity to be trasfegured. The damned souls are brought to the surface and the goods are momentarily removed from their speedy destinity of production and consumption, they are there fore placed in view and ptoposed by the artist as an antidote.