Realismo senza realtà (Reinventare la pittura)
di Laura Cherubini
testo pubblicato nel catalogo (un)common days Paolo Maria Deanesi
Edizioni _ 2011
[…] Antonio De Pascale sceglie da subito, con determinazione e perseveranza la via della pittura, ma con la piena consapevolezza del dibattito aperto sull’impossibilità di praticarla, tanto che alcuni artisti hanno paradossalmente deciso di continuare a fare la pittura con altri mezzi: pensiamo a Jannis Kounellis che si è sempre tenacemente dichiarato pittore o a Bill Viola che fa del video il sostituto del quadro. Optando per il quadro, può sembrare facile continuare a fare pittura: invece permane, o continua a riaffiorare, la stessa “impossibilità”, ed è su questa fertile contraddizione che De Pascale decide di lavorare, perché il carico di memorie che questo medium porta con sé continua ad interrogarci, ad interrogare la contemporaneità.
“La pittura, - egli dice - è come Nosferatu a cui ogni tanto qualcuno, per errore o per amore, sfila il paletto dal cuore”.
[…] “Mettere mano” è un’espressione che diventa modalità fondamentale anche nella sua pratica ideativa, principalmente nella accezione dialettale (De Pascale è napoletano): "Si mette mano a lavorare, ma anche a giocare, a raccontare, a leggere, a progettare, si mette mano ogni volta che c’è un inizio. Non sono capace di dare seguito ad un’intuizione se non mettendo fisicamente mano. E’ la realtà del fare che mi aiuta a tirare fuori l’idea, il senso dell’opera, anche quando non si tratta di pittura o disegno ma di installazioni o campionamenti sonori. Antonio De Pascale pensa all’oggetto come presentazione e rappresentazione, con l’immagine, la cosa e il suo simulacro. Davanti a un quadro, che con spirito iperrealista riproduce strumenti da lavoro, vengono posti un canottino e il suo simulacro, la sagoma dipinta. Un particolare dell’immagine può anche, in qualche caso, dilatarsi sulla parete e coinvolgere l’ambiente (“Cose dell’altro mondo”_Trevi Flash Art Museum_Trevi).
Da Nosferatu a Zelig
Nel film di Woody Allen del 1983 ci troviamo di fronte a uno scialbo individuo, Leonard Zelig, che non desidera altro che essere accettato da chi gli sta intorno. “La sua abilità camaleontica di modificare la sua personalità e il suo aspetto fisico per mescolarsi a chi gli è vicino, lo catapulta suo malgrado nella celebrità” (Glen O. Gabbard, Krin Gabbard, Cinema e psichiatria). Non è un caso che questo film, dedicato a una personalità mimetica, attiri l’attenzione di Antonio De Pascale. Come Zelig, nessuno dei suoi oggetti dipinti riesce mai a essere se stesso, è sempre qualcos’altro, tanto più che una delle caratteristiche strutturali del film è di essere presentato come un documentario, di mimetizzarsi in definitiva con un altro genere. […] Da sempre, Antonio De Pascale opera una metamorfosi, prima dei supporti, ora dei generi pittorici. A casa del gallerista Mauro Nicoletti (“La casa”_ Magazzino d’Arte Moderna_a cura di Alessandra Galletta_Roma 1999) e prima ancora, in un negozio dismesso nel circuito della metropolitana milanese (“Subway”_ a cura di Roberto Pinto _ Milano 1998) invade gli spazi quotidiani con degli strani ibridi: si tratta di oggetti rifatti in scala reale, confezioni di prodotti noti, dipinti con colori acrilici su tela che, una volta ricostruiti, diventano altri. Ogni prodotto viene ricostruito con le sembianze di un altro, attraverso un procedimento di contaminazione continua, nessuno riesce mai a conservare la propria identità: “Vi ricordate il film di Woody Allen? In effetti, durante il processo di imitazione, si presentano inciampi, capitano incongruità ed errori. E alla fine le cose non tornano più uguali a se stesse” (Guido Bartorelli _ Juliet art magazine n° 108 _ giugno 2002).
[…] La pittura può tornare a farsi accettare proprio attraverso la propria debolezza, la propria “inattualità”: Antonio De Pascale raddoppia il paradosso, si tratta di una riflessione metalinguistica ancor più rischiosa perché realizzata utilizzando una tecnica molto tradizionale. “La strategia messa in atto è infatti quella di un avvicinamento e di una distanza: nelle serie certamente più note, che si focalizzano sull’imballaggio delle merci contemporanee, egli infatti ne indaga la simulazione con la pazienza di un monaco amanuense, e, come un copista, per ‘Andata e ritorno’ (95/98) si dedica a scrupolosi trompe l’oeil della confezione, ricopiandone i motivi, la grafica, i logo, persino le scritte con gli ingredienti del prodotto con la classica tecnica dell’acrilico su tela” scrive Marco Senaldi (ItaliaImballaggio n°6_giugno 2001) “D’altra parte egli fustella il ‘quadro’, così ottenuto, esattamente nelle forme della confezione di un altro prodotto, diverso da quello precedentemente copiato – producendo così degli ibridi anomali, dei packaging transgenici: yogurt con la ‘pelle’ di lamette da barba, confezioni di birra travestite da pomodori in scatola, biscotti col look di assorbenti igienici”. La serie Zoom (Galleria Giancarla Zanutti_a cura di Alessandra Galasso_Milano1999) è costituita da confezioni oversize, cresciute a "misura d’uomo". Non si può fare a meno di pensare a quelle anti-sculture di Pino Pascali, libere dal peso, costituite dal supporto della pittura, realizzate con la tecnica della tela centinata desunta dalla pratica della scenografia televisiva. L’opera si colloca in una zona intermedia tra quadro e referente. La ricostruzione di prodotti a noi ben noti avviene attraverso la declinazione di tele e telai, supporti classici della pittura opportunamente sagomati o ingigantiti. La superficie è un’esca che cattura lo sguardo e la metamorfosi non è mai un gioco. “Il reale stesso è già pubblicità” ha scritto Elio Grazioli autore di uno studio su Arte e pubblicità. A questa realtà De Pascale riconduce quanto dalla pubblicità ha preso, d’altra parte arte moderna e pubblicità erano nate contemporaneamente
Migrazioni
Nella pittura di De Pascale l’impianto linguistico non si nega alle possibilità narrative e al piacere di essere visto. All’interno delle nuove composizioni, pile di libri sono accostate a packaging vuoti: il riferimento è in particolare alle mostre (un)common days (Paolo Maria Deanesi Gallery _ Rovereto 2010) e Microclima (Federico Luger Gallery_Milano 2009). Le “figurette” che recentemente hanno fatto il loro ingresso sono immagini-documento, persone che fuggono, attori o testimoni di eventi traumatici: scene di genere tratte dal mediascape. Sono i turisti, i migranti o gli evacuati delle cronache quotidiane che si incamminano verso una ricontestualizzazione, provengono da differenti stagioni e contesti, dal clima della festa e da quello della catastrofe. E’ un flusso, “uno scenario dentro cui vado a ri-comporre delle storie: il tentativo di tenere insieme quei frammenti che la pratica post-moderna lascia interagire senza un apparente filo conduttore. Alla ricerca della momentanea ricomposizione di un’improbabile unità spazio/temporale che serve solo a rendere più sottile la verifica dell'impossibilità di ricondurre ad unità compositiva e percettiva la successione frammentaria di eventi e cose”.
Nature morte?
In questi cicli pittorici De Pascale fonde più generi, mettendo insieme scene che nella realtà non stanno insieme. Si tratta di Nature morte abitate (e contraddette) da figure che non proiettano ombre: fantasmi. Questa narrazione incongrua coniuga conflitto e spettacolo. Se nella Natura morta classica il teschio e la clessidra in particolare tornano costantemente (è il tema della vanitas collegato al tempo che tutto divora) in questa rivisitazione del genere, invece, l’elemento temporale viene rappresentato dall’accumularsi di cataloghi e pubblicazioni di storia dell’arte. Si allude al tempo che scorre attraverso la periodizzazione data dai manuali dei movimenti artistici e il riproporsi ciclico di Biennali, Fiere ed eventi espositivi internazionali. […] normalmente la Natura morta poggia su un tavolo, una mensola, un piano che la porge all’occhio dello spettatore. Le nature morte di Antonio De Pascale, invece, vivono in sospensione su un fondo che non offre alcun appiglio. In un certo senso tutto il genere della natura morta è una pratica della riflessione sul fondale della pittura. E’ infatti all’interno di questo campo che gli elementi solitamente considerati minori e collocati sullo sfondo conquistano il proscenio, fino a diventare protagonisti: quegli oggetti quotidiani, naturali, portati alla ribalta erano spesso carichi di un significato simbolico, in alcuni casi addirittura posizionati per la rappresentazione di un muto dialogo. Come in un teatro di memoria, gli oggetti avevano una precisa collocazione spaziale. Soggetti da ferma si chiamavano, tipologia che si afferma nel Cinquecento, fino a definirsi come genere in Italia, in Germania, in Spagna e nei Paesi Bassi, nel ‘600, il suo secolo d’oro. Di “vertigine dell’illusione” parla Luca Bortolotti.[…]
Disproporzioni
Moltii sono i dispositivi comunicativi che vengono utilizzati, tra questi c’è quello della sproporzione, meccanismo che abita in genere l’universo delle favole: pensiamo ad Alice, che cresce e decresce nel paese delle meraviglie, a Gulliver nella terra dei lillipuziani ma anche a Judy Garland approdata tra i Mastichini (detti anche Sgranocchietti) nel regno del Mago di Oz. Fortunato Depero nel manifesto Il futurismo e l’arte pubblicitaria era arrivato ad affermare: “Tutta l’arte dei secoli scorsi è improntata a scopo pubblicitario”. Questa affermazione acquista una nuova luce se si riflette sul fatto che spesso molte opere della tradizione storico artistica sembrano effettivamente anticipare i messaggi pubblicitari che ci circondano, perché ambedue i linguaggi si avvalgono dell’uso di figure retoriche. Le strategie di trasformazione messe in atto da Antonio De Pascale sull’iconosfera pubblicitaria utilizzano gli stessi dispositivi, così, mentre forchette, cannucce e contenitori di ogni tipo ingigantiscono, gli uomini si fanno piccoli piccoli, mentre vanno verso il nulla con le loro valige a rotelle sotto un cielo di fuochi d’artificio. La tecnica utilizzata ha un che di estenuante, i suoi lavori passano attraverso molti passaggi, ma se alla fine il processo di successive sovrapposizioni sembra occultato dall’icasticità finale dell’insieme, non si può non riandare al gesto esecutivo, quel gesto fisico che sembra affiorare per evocazione dietro lo schermo delle stesure a mano a mano sovrapposte. […]
Utopie
In fondo è tutta una questione di liquidi. Se il primo ready-made è lo Scolabottiglie (1914) di Marcel Duchamp, se allo stesso Duchamp basterà rovesciare un orinatoio per chiamarlo Fontana (1917), "Senza titolo (Das Eismeer) (2010)" di Antonio De Pascale presenta la sagoma di una bottiglia di acqua minerale e allude al tema del Global Warming “Desertificazione e alluvioni sono manifestazioni estreme ed opposte con cui il ciclo dell’acqua rivela la sua perdita di equilibrio”. Negli ultimi tempi De Pascale ha cercato il modo di parlare di ciò che ci preoccupa, delle angosce di questo nostro mondo contemporaneo, in modo filtrato: tra la veglia e il sogno l’installazione allude all’imminente catastrofe. In una prospettiva utopica, l’opera appartiene alla dimensione dei sogni di trasformazione della realtà attraverso l’arte. Il titolo Das Eismeer allude al mare di ghiaccio di Caspar David Friedrich (l’opera del 1824 ispirata dalle spedizioni al Polo) e alle poetiche del sublime, al contrastato rapporto tra l’uomo e la natura, al suo stato d’animo di sgomento ma anche di tempestosa e impetuosa fascinazione, di fronte alla sconfinata energia, alla terribile infinità della natura. Ora l’uomo entra in rapporto con la natura solo quando essa è riprodotta. In questa stessa dimensione si colloca il progetto proposto per il concorso “Pure Water Vision” ( selezionato per la mostra conclusiva dei dieci finalisti). Anche per questo progetto, nell’ambito di un concetto di pittura in estensione, De Pascale lavora sulle sagome degli oggetti secondo modalità che discendono dalla pratica della Pop Art. Il fatto è che nel momento stesso in cui sembra riproporla, De Pascale in realtà la tradisce rovesciandola. In questo caso si tratta di due confezioni accostate, due lavori della stessa serie (Real time 2006/07) che tematizzano alluvioni e desertificazione. Una chiave di lettura è riscontrabile nel pezzo dedicato a quest’ultimo tema: sul coperchio di una nota scatola di formaggini francesi (La vache qui rit) appare una distesa desertica solcata da cretti e su questa posano la testa disseccata di un animale (la vache) e, quasi in analogia formale con essa, l’orinatoio di Duchamp. Il fatto è che , se la Pop discende dal ready made, negando la negazione di Magritte, De Pascale discende dal ready made aidé, l’oggetto non del tutto bell’è fatto, ma parzialmente modificato. Le due opere si situano sulla soglia fra il segno e il referente, gli stessi telai (supporti classici della pittura) declinano verso l’oggetto, per meglio aderirvi. “La metamorfosi, il continuo passaggio da uno stato all’altro, con una lieve forzatura mi sembrano assimilare il ciclo dell’acqua alle pratiche più diffuse nell’arte contemporanea: dislocazione, cambio di materia, cambio di dimensioni, precipitazione del senso sono i dispositivi da me utilizzati più frequentemente per inceppare gli automatismi percettivi”. La pittura di Antonio De Pascale assume una doppia valenza rispetto alla realtà. Di questa realtà l’artista coglie frammenti che cerca di rendere plausibili. Come ci suggerisce Baudrillard, un crimine è stato perpetrato: la scomparsa del reale. Ed è proprio a partire da questo delitto perfetto che Antonio De Pascale costruisce il suo paradosso: dare luogo al realismo proprio a partire dal momento di scomparsa della realtà. Un realismo senza realtà.
Realism without reality (Reinventing the painting)
by Laura Cherubini
published in the catalog (un)common days Paolo Maria Deanesi
Editions _ 2011
[…] Antonio De Pascale has chosen to paint with determination and perserverance, while fully aware of the ongoing debate on the impossibility of doing so and of the work of other artists who have paradoxically decided to continue to paint through other media: for example Jannis Kounellis who has always stubbornly defined himself as a painter or Bill Viola who has made the video a substitute for the picture. Likewise, in the world of the theatre, Carmelo Bene has staged plays on the impossibility of staging anything. Having chosen to paint, it might seem easy to go on painting: on the contrary the impossibility persists. It is on this fertile contradiction that De Pascale has decided to work, because the burden of memories that this medium carries continues to interrogate us and to interrogate the contemporary world.
Painting, he says , "is like Nosferatu from whose heart every now and then somebody takes out the stake, whether by mistake or for love " .
The Neapolitan idiom "metter mano (to get started)" is an important starting point:"one gets started in order to read, to tell a story , to play, to plan, one gets started each time there is a beginning. I am unable to follow an intuition without starting with a physical action. It is the reality of doing which helps me to draw out the idea, the meaning of my work, even when it is not a painting or a drawing, but an installation or sound sampling." Antonio De Pascale both presents and represents the object: the object itself, its image and its simulacrum. In front of a picture, which in a hyper-realistic spirit reproduces work tools, he places a small dinghy and its simulacrum, its painted outline. A detail of the image can, in some cases, also trespass onto the wall and involve the enviroment ("Unbelievable things" Trevi Flash Art Museum_Trevi 1995)
From Nosferatu to Zelig
In Woody Allen's 1983 film we meet a shabby man, Leonard Zelig, whose only desire is to be accepted by the people who surround him. "His chameleonic ability to modify his personality and his physical appearance, to mingle with the people who surround him, throws him against his will among celebrities" (Glen O. Gabbard, Krin Gabbard, Cinema and phychiatry). It is no accident that this film, centred on a mimetic personality, should have attracted Antonio De Pascale's attention. Like Zelig none of his objects succeeds in being itself , it is always something different. One of the film's structural features is that it presents itself as a documentary, camouflaging itself like a chameleon with another genre […] Antonio De Pascale has always used metamorphosis, at first of props and frames , now of pictorial genres. In the house of the gallery owner Mauro Nicoletti ("The house" Magazzino d'Arte Moderna_edited by Alessandra Galletta_Rome 1999) and even earlier, in a disused shop on the Milan underground ("Subway" - edited by Roberto Pinto - Milan 1998) , he invaded everyday spaces with strange hybrids: objects remade in life size, wrappings of famous products painted on canvas with acrylic colours, which, once reconstructed, become something else. Each product is reconstructed with the look of another, through a procedure of continuous contamination, nothing ever manages to keep its own identity: "Do you remember Woody Allen’s film? In the course of the very process of imitation obstacles are met and incongruences and errors occur. And in the end things are no longer the same" (Guido Bartoreli - Juliet art magazine n° 108_june 2002). Today the language of painting can be accepted again precisely because of its weakness: Antonio De Pascale doubles the paradox by giving life to a metalinguistic reflection which is even riskier because it is relised by means of a very traditional technique. "The strategy employed is at the same time one of approaching and distancing: in the most famous series which focus on the packaging of today’s goods, he investigates their simulation with the patience of a monastic scribe and, like a copyist, in Andata e ritorno (95/98) he creates meticulous trompe l’oeil of the packagings, copying their motifs, design, logos and even the lists of ingredients of the products in the classic technique of acrylic on canvas" Marco Senaldi states."At the same time he punches the “picture” thus obtained in the exact shape of the packaging of another product, different from the one previously copied – thus producing anomalous hybrids, transgenic packaging, yoghurt with the “skin” made of razor blades, beer cans dressed up as tinned tomatoes, biscuits with the look of sanitary towels". You cannot avoid thinking of those weightless anti-sculptures by Pino Pascali, made up through painting, realized with the technique of the bent fabric taken from the practice of set design. The work itself is in an intermediate stage between the picture and its referent. The reconstruction of well-known products takes place through the manipulation of canvas and frames, the basic materials of painting. The surface is a bait which captures the eye and the metamorphosis is never a game. "Reality is itself a form of advertising" wrote Elio Grazioli the author of a study on Art and Advertisment. De Pascale returns to reality what it has taken from advertising; modern art and advertising were born in the same period.
Migrations
The linguistic system De Pascale chooses for his painting does not reject the possibility of narration nor the pleasure of being looked at. In his recent works books are piled next to empty packagings: for example in the exhibitions (un)common days (Paolo Maria Deanesi Gallery_Rovereto 2010) and Microclimate (Federico Luger Gallery_Milano 2009). The "small figures" who appear in them are documentary images, people in flight, actors or witnesses of traumatic events: genre scenes taken from the mediascape. They are the tourists, the migrants or the evacuees of daily news who are making their way towards a re-contextualisation, coming from different seasons and contexts, from the atmosphere of a party or of a catastrophe. It is a flux, a process, " a scenery within which I re-compose stories: an attempt to hold together those fragments that post-modern practice allows to interact without any evident underlying thread. The search for a momentary recomposition of an improbable unity of space and time which only renders subtler the very realization of the impossibility of giving compositional and perceptual unity to the fragmentary succession of things and events".
Still lifes?
De Pascale unites two realistic scenes which in reality do not go together. "It is incongruity which interests me" the artist says , a still life which is contradicted by being inhabited by human figures. This incongruous narration joins conflict and performance. The images of a skull and an hourglass often appear in still lifes. […] It is the theme of vanitas, the vanity of earthly things, a motif connected to the theme of time which consumes everything. Everything passes away. In De Pascale's narrations, instead, the temporal element is represented by the volumes of history of art stacked in a pile. The chosen books particularly illustrate this point: handbooks such as Contemporary Art by Electa or guides such as Art Diary but also catalogues of great national and international exhibitions. His paintings are similes of still lifes, except for the fact that a still life is usually set on a table, a shelf, a surface which offers it to the observer's gaze. De Pascale's "still lifes" are instead suspended on a background without any holds. In a sense the whole genre of still life is a reflection on the backdrop of a painting. It is in this context that the elements usually considered minor and therefore located in the bakground gain the foreground and become the protagonists. […]
Disproportions
All communicative devices are employed, among them disproportion. This mechanism usually belongs to the world of fable: for example Alice who grows and shrinks in wonderland, Gulliver in the land of Lilliputians but also Judy Garland who lands among Munchkins (also called Magpies) in the kingdom of the Wizard of OZ. Fortunato Depero in the manifesto Futurism and Advertising stated: "All the art of the past was based on advertising". This statement acquires a new light if we reflect on the fact that many classical works of art often seem to anticipate the advertising messages which surround us because both languages employ figures of speech. The transformation strategies deployed by Antonio De Pascale inside the advertising iconscape make use of the same devices, as forks, straws and cases of all shapes and sizes get much bigger, humans become very small, heading nowhere with their trolleys underneath a sky lit by fireworks. The technique he employs is somewhat exhausting, his works undergo various interventions, but if in the end the process of successive superimpositions seems hidden by the graphic nature of the final whole, you cannot avoid going back to the excutive gesture, that physical gesture which seems to surface as if evoked behind the screen of the coats as they are applied in succession.
Utopias
In the end it is just a question of liquids. If the first ready-made is the Bottle rack (1914) by Marcel Duchamp, if upturning an urinal was sufficient for Duchamp to call it Fountain (1917), Senza Titolo (Das Eismeer) by Antonio De Pascale (2010) shows the shape of a bottle of mineral water and alludes to the theme of Global Warming (the prelude to a series in which he will use the most recognisable and global brands: Evian, Perrier, Volcic...). "Desertification and floods are extreme and opposed manifestations through which the water cycle reveals its loss of balance". Lately De Pascale has been looking for a way to talk about what worries us, the anxieties of our comtemporary world, though filtering his message without resorting to an easy didactic approach: between wakefulness and dream the installation alludes to a looming catastrophe. From a utopian perspective his work belongs to the dimension of the dreams of transformation of reality through art. The title Das Eismeer alludes to Caspar David Friedrich's sea of ice (his work of 1824 inspired by the expeditions to the Pole in 1819 and 1824 and to the poetics of the sublime, to the controversial relationship between man and nature, to his feeling of dismay but also of tempestous and impetuous fascination in the face of the unlimited energy and awsome infinity of nature. Now man relates to nature only in its reproduced form. The project proposed for the competition "Pure Water Vision"(selected for the final exhibition of the ten finalists) belongs to this perspective. For this project, too, within an extended concept of painting, De Pascale is working, as before, on the shape of the objects according to modalities which derive from the practice of Pop Art. In fact at the very moment when De Pascale seems to re-introduce Pop iconography he actually betrays it. In this case he uses two packagings close together, two works of the same series (Real Time 2006/07) which allude to the themes of flooding and desertification. The item dedicated to the latter theme provides the interpretation: the cover of a famous box of French cheese (La vache qui rit) shows a furrowed desert area on which are laid the dessicated head of an animal (la vache) and, almost in a formal analogy to it, Duchamp's urinal. If Pop derives from ready made, denying Magritte's negation, De Pascale derives from ready made aidé, the object not completely finished, but partially modified. These two works belong to the threshold between the sign and the referent of the painting which becomes an object: the former is a shaped canvas, the latter a shaped wooden board: in both cases the classical material of painting is transformed into an object, to better adhere to it. "Metamorphosis, the continual passage from one state to another, with a slight straining, seems to me to assimilate the water cycle to the most diffused practices of contemporary art: dislocation, change of material, change of dimension, disruption of meaning, are the devices to which I most frequently resort in order to block automatic perceptions".
Antonio De Pascale's painting has a double value with respect to reality. He capture fragments of this reality and tries to make them believable. As Baudrillard suggests a crime has been committed: the disappearance of reality. And it is precisely from the starting point of this perfect crime that Antonio De Pascale builds his paradox: enacting realism just when reality disappears. A realism without reality.